L’epoca del benessere economico e sociale ha apportato numerosi benefici, risollevando le sorti delle condizioni e degli stili di vita degli abitanti dei luoghi interessati. Ha permesso anche di superare alcune barriere igienico-sanitarie e di adottare nuove metodiche che hanno migliorato in generale la vita degli individui. In relazione al benessere sono mutati anche gli stili alimentari, i quali hanno subito un processo di integrazione di abitudini extraterritoriali, producendo così una globalizzazione che ha investito prevalentemente le regioni occidentali, omologando sempre più il modo di mangiare. Dalle tradizionali abitudini alimentari regionali, ben custodite dai nostri avi, siamo passati in tempi più recenti ad un consumo di massa di cibi, che non ci identificano come dovrebbero.
Anche le abitudini alimentari sono scritte nel DNA
Non tutti sappiamo, infatti, che il DNA (acido desossiribonucleico) è il detentore dell’informazione genetica di ogni singolo individuo, costituendone il genotipo. Osservando da un punto di vista più ampio la genetica di popolazione, sono stati individuati dei caratteri genetici prettamente specifici per ciascuna popolazione, caratteri che contraddistinguono un’etnia dall’altra, non solo per usi e costumi, ma anche per ciò che c’è scritto dentro il genoma di ciascuna di esse. Esattamente come le informazioni responsabili dei caratteri somatici, sembra che ci siano dei geni di “memoria alimentare”, ovvero dei geni che controllano e riconoscono il tipo di alimentazione, perchè caratteristico della specie e delle popolazioni in questione. Quando si effettua una variazione drastica nelle abitudini alimentari, quei geni di memoria potrebbero risentire del cambiamento e dunque si potrebbero avere ripercussioni da un punto di vista metabolico e dunque anche fisico. E’ ciò che spesso accade quando si adottano nuove abitudini alimentari: l’assetto funzionale metabolico subisce un cambiamento nell’apporto di macromolecole biologiche non esclusivamente da un punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo e questo fa sì che si vada incontro a disfunzioni metaboliche.
Dall’oriente arriva una dieta esemplare, con origini antiche e risultati sorprendenti
In controtendenza a tutto ciò di cui abbiamo parlato, esistono ancora delle popolazioni fortemente ancorate alle tradizioni, agli stili di vita e dunque anche alle abitudini alimentari, sia per esigenza sia per volere. Stiamo parlando in particolar modo di una dieta, intesa come abitudine alimentare, osservata nelle zone del Giappone e che prende il nome proprio dal luogo geografico nella quale viene praticata: Okinawa. Questa popolazione è stata oggetto di studio, in quanto è stato rilevato un alto tasso di longevità. La durata della vita media in quel luogo è di 81,2 anni, quindi molto alta rispetto al resto del mondo e direttamente proporzionale a ciò si è vista una riduzione di malattie metaboliche quali: diabete e colesterolo, ma anche ictus, cardiopatie e cancro, rispetto ai paesi occidentali. Tutto ciò è merito dello stile di vita salubre che queste popolazioni conducono, senza utilizzo di sigarette, alcool, esposizioni ad inquinamento atmosferico e stress; è merito anche della forte spiritualità che possiedono ed in ultimo, ma punto fondamentale della questione lo stile alimentare che adottano quotidianamente. Il loro regime alimentare si basa prevalentemente su esigenze dettate dalla posizione geografica; infatti, essendo una regione bagnata dalle acque dell’Oceano, una delle principali fonti di sostentamento è il pesce. Alla base della dieta Okinawa c’è infatti un largo consumo di prodotti ittici, abbinati all’utilizzo di riso, che è un prodotto molto diffuso nelle zone asiatiche, superando di gran lunga l’utilizzo di altri cereali. Questo regime alimentare prevede l’assunzione di abbondanti dosi di frutta e verdura e quantità limitate di carni bovine; piuttosto è diffuso maggiormente l’uso di carne di suina, che viene prima abbondantemente bollita per due o tre ore e poi aggiunta ai piatti di riso o verdure. Anche la soia è un alimento diffuso, le cui proprietà sono molto importanti per la salute e da essa deriva anche il Tofu, ossia un formaggio prodotto dal latte di soia, molto leggero e genuino, inoltre c’è un buon consumo delle alghe della specie Konbu. Si stima che la dieta Okinawa abbia una restrizione calorica che si aggira intorno alle 1100 Kcal giornaliere, un apporto nutritivo molto insolito se rapportato ai consumi e agli eccessi odierni e molto più simile invece alla dieta dei nostri antenati. Inoltre nelle zone orientali si fa anche largo uso di spezie come il curry o lo zenzero o ancora la curcuma, ricche di sostanze antiossidanti e antitumorali. Nelle zone in cui esse vengono utilizzate si può osservare una ridotta casistica di malati di Parkinson e di Alzheimer; ciò è dettato dal fatto che abbondanti quantitativi di omega 3 evitano l’insorgenza di malattie degenerative neuronali, oltre che evitare l’aumento di colesterolo e quindi anche di malattie cardiovascolari.
Si nota bene che uno stile alimentare semplice, arricchito da grassi nobili, da fibre e sali minerali, da antiossidanti, vitamine e povero di tutti quei prodotti raffinati, effige e simbolo del progresso e di una società consumista, sia il miglior rimedio per evitare l’insorgenza di tutte quelle malattie icona del mondo moderno e per garantire la longevità.
Si avvicina al vostro stile alimentare quello della dieta di Okinawa?